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Le parole che usiamo cambiano il modo in cui vediamo il mondo. Intervista a Carolina Lucchesini

Posted on 23 Settembre 2024 by NuoveNarrazioni

Come rilanciare messaggi contro gli stereotipi senza diventare didascalici? In occasione del lancio della campagna di DiversaMente, l’ho chiesto a Carolina Lucchesini, che ne ha sviluppato il concept. Questo post è apparso per la prima volta su Substack il 14/09.

DiversaMente è un progetto della ONG ICEI (finanziato da AICS) che coinvolge tredici centri giovanili in cinque città italiane (Milano, Torino, Reggio Emilia, Pontedera, Montesilvano) e che mira a contrastare rumours e stereotipi. Lɜ ragazzɜ che frequentano i centri sono statɜ attivamente coinvoltɜ in tutte le fase del progetto, dalla realizzazione di azioni antirumours sui loro territori alla creazione di una rete di giovani attivistɜ fino all’ideazione di una campagna di comunicazione realizzata da ICEI con il supporto del team dell’Agenzia Puntozero di Torino.

Carolina, tu sei una delle fondatrici di Puntozero e hai curato in prima persona lo sviluppo e l’implementazione della campagna assieme ad Anna La Rosa (direzione creativa), Claudia Colucci (copy) e Annalisa Mellone (produzione). Ce la racconti in due parole?

Partiamo da una considerazione: quando parliamo di stereotipi, di pregiudizi, di rumours – cioè quelle voci date per vere e che si trasmettono velocemente con il passaparola – siamo tuttɜ potenziali vittime, ma anche potenziali carnefici.

Questa campagna gioca sui doppi sensi, con immagini che ti fanno vedere le cose da un’altra prospettiva (il POV, appunto, una tecnica usata sui social per immedesimarsi nel punto di vista altrui) per far riflettere chi guarda sui propri stereotipi.

Una delle immagini della campagna

I rumours e gli stereotipi sono elementi invisibili, spesso inconsci, che si insinuano dentro le nostre vite e i nostri discorsi. Con questa campagna cerchiamo di farli emergere attraverso contenuti visivi volutamente ambigui che spingono a stimolare un pensiero critico. Una specie di “ma cos’hai capito/pensato?” E questo vale per gli stereotipi che subiamo, ma anche per quelli che agiamo:

le parole che usiamo raccontano chi siamo. Non bisogna solo proteggerci da quelle dellɜ altrɜ, ma anche fare attenzione alle nostre.

Quindi una campagna che viaggia sui social, il mondo delle immagini per eccellenza, ponendo un’attenzione enorme alle parole. Una sfida nella sfida, insomma.

Sì, l’intero progetto è stato un lungo viaggio nella parola. Ci siamo ispirati al lavoro di Vera Gheno, linguista che da anni lavora per sensibilizzare il pubblico sul ruolo del linguaggio come strumento per cambiare il mondo e curatrice del podcast “Amare parole”, che afferma: “Il linguaggio non è un accessorio dell’umanità, ma il suo centro. Le parole vanno usate con responsabilità”. Il suo lavoro ci ha guidate e ispirate nella concezione di questa campagna.

Ma i social sono ancora uno spazio adatto per avviare una riflessione come questa? A me sembrano più una terra di nessuno in mano a influencer isolatɜ o troll di estrema destra…

Di solito parliamo male dei social e della comunicazione digitale, dimenticando che tuttɜ ne fruiamo. Pensare di far circolare una storia al di fuori delle logiche dei social, oggigiorno, è risibile, non vale nemmeno la pena provarci: i social ci sono; e, nonostante o grazie agli algoritmi, è necessario usarli per raggiungere le persone, stimolare una riflessione e generare l’impatto che vogliamo.

E cioè?

Attivare le persone. La comunicazione ha un valore trasformativo solo quando si riesce a creare un varco nell’attenzione e dare vita a una relazione. Secondo la mia esperienza, usare le storie in comunicazione serve proprio a questo: a bucare i muri che ci siamo costruitɜ e a toccare corde che ci fanno uscire dalla zona di comfort. a

Le storie attivano le persone perché creano immedesimazione, ma occorre attenzione e talento per maneggiarle:

le buone storie non basta trovarle: occorre anche saperle raccontare.

Carolina Lucchesini, fondatrice di Puntozero

Puntozero è un’agenzia di comunicazione per le buone cause che mutua le tecniche della comunicazione profit e le mette a disposizione di associazioni o imprese con forte impronta sociale per raccontare il cambiamento che esse apportano al mondo.

Per esempio? Proviamo a spiegarci più nel concreto.

Dunque, chi ascolta una storia si aspetta una certa struttura: una buona storia ruota intorno a un conflitto che può essere – e deve essere – risolto.

Lo sceneggiatore americano Christopher Vogler ha tipizzato l’andamento delle storie riprendendo il lavoro di Campbell sul “viaggio dell’eroe”

Questo meccanismo è alla base di ogni storytelling, ma il non profit e i movimenti progressisti sembrano averlo dimenticato. Per esempio, il tipo di narrazione sulla crisi climatica spesso racconta un evento talmente grande e inesorabile da togliere alle persone la possibilità di avere un proprio ruolo:

ma se una storia ti fa sentire impotente e frustratǝ, tu smetti di ascoltarla: è inevitabile.

E qual è, secondo te, la ricetta per una narrazione efficace?

Una buona storia fa due cose: cattura la tua attenzione e ti fa fare qualcosa che prima non facevi. Ti fa mettere in gioco e agire sul mondo. Per questo dicevamo all’inizio che le storie cambiano il mondo: lo fanno attraverso le persone che le agiscono.

Però a patto di uscire dall’effetto didascalia e creare narrazioni possibili che raccontino un nuovo mondo e non si limitino a denunciare quelle create dall’altra parte.

E qui torniamo alla campagna di DiversaMente: il messaggio non è “non fare questo, non pensare quest’altro, se hai degli stereotipi sbagli”. Piuttosto, quello che cerchiamo di mostrare è che dietro le lenti che gli stereotipi e i rumours ci impongono c’è ricchezza e c’è libertà. Ma occorre avere la mente abbastanza aperta da arrivarci.

Per sapere di più sulla campagna di comunicazione e il progetto DiversaMente: icei.it/diversamente

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