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Combattere stereotipi e rumours negli spazi giovanili: intervista a Dani de Torres

Posted on 11 Febbraio 2025 by NuoveNarrazioni

ICEI ha lanciato EPIC IDEA, un progetto che applica la strategia antirumours agli spazi giovanili. Abbiamo intervistato Dani de Torres, uno degli ideatori della strategia e direttore di RECI

“Una delle attività che ricordo con più piacere l’hanno organizzata in un ospedale di Tenerife qualche anno fa: un “open day” per curarsi dagli stereotipi, con tanto di banchetto di diagnosi all’ingresso e delle terapie sotto forma di pillole (di zucchero) e ricette (con letture consigliate, fonti di approfondimento, risposte pronte da usare in situazioni sociali o famigliari). Una di quelle azioni che i comunicatori sognano: senza costi, creativa, e che aveva ricevuto un sacco di pubblicità.”

Dani de Torres Barderi sorride mentre mi racconta questo aneddoto. Si vede che il suo lavoro lo diverte: è sempre immerso nella creatività, nelle azioni più fantasiose, nei progetti più innovativi.

Dani de Torres Barderi, direttore di RECI, la Rete Spagnola delle Città Interculturali

E in quasi quindici anni di lavoro – da quando, neonominato Commissario all’Immigrazione e al Dialogo Interculturale della Cittàdi Barcellona, de Torres e il suo team hanno sviluppato una modalità di lavoro per contrastare stereotipi e pregiudizi che ha preso il nome di strategia antirumours – ha accumulato decine di esempi, pratiche, idee come quelle dell’ospedale di Tenerife. Oggi de Torres continua a lavorare con la Strategia AR (che nel frattempo è divenuta una buona pratica del Consiglio d’Europa) in diverse città spagnole ed europee.

Come è cominciato tutto?

“Nel 2003 ho iniziato a lavorare per la Municipalità di Barcellona, in un periodo in cui la popolazione straniera residente aumentava a ritmi sostenuti [Nota: fra la fine degli anni ‘90 e i primi anni 2000, la Città di Barcellona ha visto la quota di stranieri sulla popolazione residente crescere dai 30.000 nel 1995 ai 260.000 nel 2005. Oggi, vent’anni dopo, la popolazione straniera si attesta sui 470.000, oltre il 25% della popolazione totale]: una crescita rilevante che ha creato una buona dose di complessità – e opportunità. Nel 2007 ho ricevuto il compito dal Sindaco di strutturare una strategia interculturale e parlando con cittadini e cittadine è emersa chiaramente la quantità – e il peso – di stereotipi e pregiudizi nei confronti delle persone con background migratorio in particolare, e della diversità culturale in generale. E abbiamo iniziato a elaborare una strategia.”

Una strategia che si basa su tre punti cardine. Il primo è l’atteggiamento nei confronti del target, quella “maggioranza silenziosa” che non è attivamente e ideologicamente schierata contro i e le migranti, ma che ha una percezione ambivalente della diversità.

“Siamo partiti dalla considerazione che – fino a quel momento – molte campagne risultavano giudicanti nei confronti delle persone. A noi non interessava denunciare le persone come razziste o farle sentire in colpa – che risulta spesso controproducente, perché le persone si chiudono – quanto piuttosto attirare la loro attenzione.

Ci siamo concentrati sui rumours, cioè su quelle “voci” che si diffondono perché tutti e tutte le prendono per vere, come “gli immigrati prendono tutte le case popolari” oppure “ci rubano il lavoro”, proprio perché erano temi di discussione comune, da bar o da pausa caffé in ufficio. Immaginate di incontrare un vicino di casa che, in ascensore, si lascia andare a un commento basato su stereotipi o pregiudizi razzisti. Avete un minuto per rispondergli prima di arrivare al vostro piano, volete dire qualcosa che metta perlomeno in dubbio il rumour che vi ha esposto evitando che si chiuda a riccio. Ecco, come farlo è l’essenza della strategia antirumours.”

Una delle strategie più innovative, in Italia, viene portata avanti da anni dal Comune di Reggio Emilia e dalla Fondazione Mondinsieme

A dirla così, sembra che la strategia antirumours affronti le notizie false con azioni di awareness rasising, o debunking.

“Assolutamente no! Conoscere numeri e dati è necessario, ma non è sufficiente: per fermare la diffusione dei rumours servono anche uno spirito critico e molta empatia. Noi volevamo essere concreti e la mappatura dei rumours è solo un primo passo. Se tu chiedi alle persone quali problemi affliggono una città, magari la presenza di migranti sta in alto in classifica, al quarto o al quinto posto. Ma se chiedi alle persone quali problemi affliggono loro, l’immigrazione compare raramente. Molto più spesso si parla della mancanza di lavoro, di insicurezza, della scarsità di di alloggi o delle strutture sanitarie, eccetera. Non è raro che attraverso la mappatura del territorio si scopra che dietro un rumour sulle persone straniere che “rubano” le case popolari c’è una reale mancanza di alloggi per le persone in difficoltà.

E su questo la strategia antirumours è molto chiara: inquadrare il problema serve a capire dove indirizzare un intervento concreto.”

Si tratta di una visione che si allinea ad altre in ambito internazionale. Secondo john powell, storico attivista statunitense per i diritti civili e fondatore dell’Othering and Belonging Institute, atteggiamenti razzisti e discriminatori nascondono spesso altri, e più profondi, problemi.

Se però molti approcci sottolineano la necessità di rafforzare le competenze della società civile, la Strategia AR è stata pensata per le città, e può servire anche a combattere le ondate di violenza che sempre più spesso vengono scatenate sui territori e che hanno nelle città i primi argini di difesa. Come le proteste di questa estate in Inghilterra dimostrano, quando i movimenti di estrema destra globali rompono, rimettere insieme i cocci tocca ai quartieri, ai comuni, alle comunità locali.

E qui veniamo al terzo elemento della Strategia AR: una città deve coinvolgere diversi partner sul territorio con cui lavorare:

“l’equilibrio che si crea fra soggetti diversi signifca molto: se il comune esternalizza la strategia, c’è il rischio che le azioni perdano di forza; ma se mantiene troppo il controllo, non concede ownership alla società civile.”

C’è un attore in particolare con cui la Strategia AR sembra funzionare molto bene: i e le giovani. Da diversi anni, la ONG milanese ICEI lavora a un modello che prevede una collaborazione fra tre attori: gli enti locali, youth workers e i e le giovani. L’obiettivo è quello di coinvolgere ragazzi e ragazze in percorsi di cittadinanza attiva, dando loro strumenti per sviluppare il pensiero critico e costruendo relazioni durature e resilienti fra policy makers e cittadinanza.

Dopo diversi azioni pilota, ICEI ha testato il modello con DiversaMente, un progetto che ha raccolto 13 centri giovanili in 5 città italiane [Nota: Carolina Lucchesini, che ha curato la campagna di comunicazione con la sua agenzia Puntozero, è stata protagonista della newsletter un paio di puntate fa] e che si avvia alla conclusione. Il suo successore sara EPIC IDEA, un salto dalla dimensione italiana a quella europea con attività in Spagna, Portogallo e Ungheria.

L’obiettivo è quello di elaborare un modello europeo di lavoro sui rumours che coinvolga giovani, youth workers e politiche giovanili e una rete di soggetti pronti a metterlo in pratica in modo efficace e rapido. Perché, come ricorda de Torres,

“Siamo in un momento davvero drammatico, che spero serva a svegliare più attori e più città. Fino a qualche anno fa le città e le scuole dicevano che no, a loro non serviva lavorare su stereotipi e pregiudizi, perché ‘non ci sono razzisti da noi’ oppure ‘non svegliamo il can che dorme’. Ma adesso è evidente che sul tema dobbiamo lavorare, e in fretta; e che abbiamo bisogno di coinvolgere quanti più stakeholders possiamo”.

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