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Un nuovo “noi” per cambiare il frame sull’immigrazione

Posted on 19 Febbraio 20247 Agosto 2024 by NuoveNarrazioni

Quando le elezioni si giocano sull’immigrazione, le destre vincono anche se perdono. Ricostruire un “noi” slegato da identità nazionali o etniche è fondamentale per ribaltare le narrazioni autoritarie. Un articolo pubblicato su Substack il 19 febbraio 2024.

La paura come driver per il voto

In una recente intervista al Guardian, il capo della diplomazia europea Josep Borrell si è detto preoccupato: “Temo la paura, temo che gli europei votino [alle elezioni europee di giugno, NdA] seguendo la paura”. In un mondo dominato da notizie ansiogene e preoccupanti, “i partiti che riusciranno a sfruttare la paura […] potranno attrarre il supporto degli europei”. E, in questo momento storico, nessun tema riesce a connettersi all’ansia e alla paura degli elettori e delle elettrici quanto l’immigrazione. E nessuno riesce a farlo meglio dei partiti di destra.

Solo per citare gli avvenimenti più recenti, nei Paesi Bassi Geert Wilders ha vinto le elezioni con una proposta politica esplicitamente anti-islamica e anti-migranti; in Germania, il partito xenofobo e di estrema destra Afd è regolarmente secondo nei sondaggi elettorali da diversi mesi a questa parte.

Le intenzioni di voto in Germania fotografate da Politico

Negli Stati Uniti, il probabile candidato repubblicano alle elezioni di novembre Donald Trump ha affossato una proposta di legge sull’immigrazione concordata dai senatori del suo stesso partito per avere le mani libere di sfruttare il tema in campagna elettorale. È un calcolo spietato, ma razionale: non solo è il motivo per cui gli elettori repubblicani hanno fiducia in lui (vedi il reportage di Da Costa a Costa qui sotto), ma anche perché Trump sa che ogni volta che una campagna elettorale si gioca sui temi dell’immigrazione e della xenofobia, i movimenti di destra vincono.

L’egemonia culturale della destra quando si parla di immigrazione

La narrazione mainstream è ormai talmente favorevole alle destre che queste riescono a influenzare l’approvazioni di leggi securitarie anche dall’opposizione: è il caso dei famigerati Decreti Minniti, promulgati da una coalizione di centro-sinistra nel 2017, e della legge sull’immigrazione francese, approvata dal governo Macron nel 2023 e definita dalla leader dell’opposizione di destra Marie Le Pen una vittoria ideologica del suo partito.

Si tratta di decreti e leggi che non incidono solo sulla vita e sulla pelle delle persone straniere: la paura è diventata giustificazione per un più rigido controllo sociale, e non solo dei confini. Come evidenzia la ricercatrice spagnola Miriam Juan-Torres González, le politiche securitarie supportate da narrazioni sempre più de-umanizzanti e autoritarie stanno diventando un cavallo di Troia per affermare un maggiore controllo sulla cittadinanza (anche attraverso meccanismi di tecno-sorveglianza), per limitare l’accesso di tutti/e a diritti civili e sociali, e per indebolire la società civile (basti ricordare la guerra politica e giudiziaria contro le ONG, denominate in Italia “taxi del mare”).

Ribaltare le narrazioni in vista delle elezioni europee: un nuovo “noi”

Alle elezioni europee del 2024 mancano ancora cinque mesi, un lasso di tempo enorme in politica. Molto potrebbe ancora accadere e spostare il focus del dibattito elettorale su altri temi, dalla geopolitica all’economia. D’altra parte, potrebbe anche accadere il contrario: un attentato terroristico a pochi giorni dal voto riporterebbe sicurezza e paura violentemente al centro della scena politica. In ogni caso, occorre che movimenti e partiti progressisti e di sinistra costruiscano le basi per una nuova narrazione in grado di competere con quella xenofoba e securitaria delle destre.

Finora, la retorica pro-immigrazione in Europa si è articolata grosso modo intorno a due filoni. Il primo si potrebbe definire utilitaristico e si inserisce in una visione economicista della società nella quale “i migranti fanno bene all’economia”, “la demografia dell’Europa la obbliga ad attrarre forza lavoro”, e così via. La seconda si rifà a motivazioni umanitaristiche e di solidarietà fra i popoli, per cui è d’obbligo supportare le persone e le popolazioni in difficoltà. Entrambe le narrazioni presentano dei punti deboli: la prima inserisce le persone migranti all’interno di una cornice di sfruttamento (“puoi entrare solo se servi”) che spinge a selezionare le persone sulla base dei bisogni dei Paesi di ingresso; la seconda scivola continuamente nel razzismo benevolente (“vanno aiutati perché poveretti”). Entrambe le narrazioni, inoltre, tendono a rafforzare – e non a depotenziare – la dicotomia fra “noi” e “loro”: c’è sempre “un altro” da aiutare o un “loro” che ci può essere utile. Il frame di riferimento [E cioè “una guida che indica alle persone dove guardare e come interpretare ciò che vedono” secondo il Framework institute] rimane quello di due gruppi contrapposti e divisi da una linea tracciata su basi etniche, nazionalistiche, religiosi, culturali.

Ci sono molti “noi” e “loro”: lo status nazionale è solo il più funzionale alla classe sfruttatrice

Una nuova narrazione nel campo dell’immigrazione non può prescindere dal ricostruire su altre basi il discorso pubblico, partendo innanzitutto da una nuova definizione di “noi”.

Paradossalmente, il rischio di deriva autoriataria evidenziato da Juan-Torres Gonzàles potrebbe rappresentare un’opportunità per plasmare un “noi” diverso: non più fondato sulla cittadinanza o l’etnia, ma sull’opposizione a un modello di società securitaria e illiberale di cui saremmo tutti vittime e ostaggi. Paure e bisogni simili e trasversali che potrebbero unire e sfidare la divisione “noi-loro” così funzionale ai programmi liberticidi delle destre europee.

Certo, non sarà immediato (e, d’altra parte, la narrazione di destra ha impiegato oltre trent’anni per diventare mainstream): ma da qualche parte occorre cominciare.

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