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Senza ritorno

Posted on 1 Aprile 20216 Agosto 2024 by NuoveNarrazioni

La famiglia di A. aveva pagato parecchio il suo viaggio oltremare, facendo debiti che gravavano sul bilancio domestico, e già da qualche settimana mamma Baba attendeva con crescente trepidazione qualche notizia e i primi contributi. Nelle preghiere serali che conduceva al posto del marito defunto, Baba elencava la salute di A. prima dei soldi per una nuova capra, di quelli per l’abito da sposa di Nani (la mediana), e di quelli per i libri scolastici di Momo (il terzogenito), perché era la variabile da cui dipendevano tutte le altre. Con queste aspettative, e con il pensiero costantemente rivolto al di là del mare, è del tutto naturale che Baba non riconobbe il figlio maggiore quando, una mattina di settembre, aprì la porta di casa e se lo ritrovò davanti. Era tornato ma, poiché non lo aspettava, Baba rimase a guardarlo imbambolata finché Nani non si affacciò dal corridoio e iniziò a strillare.

«Ush, ush, dentro tu» disse la madre riscuotendosi dalla sorpresa e spingendo A. in casa «e zitta tu, brutta oca, che pensi, di essere al mercato? Così sveglierai mezzo paese!» Ma il paese doveva essere già ben sveglio quando A., un paio d’ore prima, era sceso dal pullman del mattino e si era avviato nel chiaroscuro dell alba per le stradine familiari, perché tutti già sapevano.

“Tornato” , ripetevano le donne al mercato, sottovoce ma non così tanto, scuotendo la testa al passaggio di Baba, mentre il pescivendolo accennava ai debiti accumulati e il verduraio rifiutava di farle credito. “Tornato” , urlavano i compagni di Momo per sfotterlo, tanto che gli toccò farci a botte, e tornò a casa mezzo pesto e con la maglietta strappata, perché anche se se la cavava con le mani bene quanto con la testa, stavolta era solo contro troppi. “Tornato?”, aveva chiesto a Nani il fidanzato, e non aveva detto altro né aveva voluto amoreggiare come al solito, per cui lei era tornata a casa presto, sgomenta e con un nodo in gola, trovando il fratello minore con un labbro spaccato e la madre a fissare la tavola vuota. “Tornato”, ripeté Baba al marito morto quella sera in uno dei dialoghi che avevano spesso quando lei era turbata: tornato senza moglie, senza lavoro, senza soldi, senza un motivo, e l’enormità di tutto questo le stringeva il cuore e le rendeva molli le mani.

Nei giorni seguenti, il vero significato che l’intero paese attribuiva al ritorno di A. divenne evidente. Momo continuò a fare a botte e a buscarne, finché decisero di toglierlo da scuola, tanto i soldi per i libri non c’erano, e tanti saluti alla possibilità che almeno uno dei fratelli proseguisse fino alle superiori. A Baba, finite le mezze frasi, chiesero esplicitamente di restituire i soldi del debito e, poiché non li aveva, nessuno volle più farle credito. A. si ritrovò solo del tutto quando gli amici di una vita, che si stavano preparando a partire a loro volta, gli dissero che con un vigliacco non volevano avere a che fare, magari era pure contagioso. Ma la notizia peggiore arrivò dopo una settimana. Solo che fu così naturale, quasi attesa, che Nani la raccontò senza collera né singhiozzi, solo una processione di pesanti lacrimoni che le scendevano tranquilli lungo le guance mentre annunciava alla famiglia che il suo fidanzamento era rotto ed evitava di sottolineare l’ovvio, e cioè che, visto che tutto il paese comprendeva e giustificava la decisione del suo ex e che nessun uomo avrebbe mai voluto essere da meno, per lei non ce ne sarebbe mai stato un altro.

Baba, che stava portando in tavola la cena, rimase immobile, a metà strada fra il focolare e il tavolo, la zuppiera fumante in mano. Osservò i figli: Momo che si mordeva il labbro inferiore e si torceva le mani, Nani con la faccia affondata nell’incavo del gomito, e poi A., lo sguardo vacuo e le spalle calanti, muto e assente, colpevole di aver distrutto i sogni dell intera famiglia. Quell’A. che lei ormai odiava, e come poteva non odiarlo? Questo pensiero, a lungo zittito, le esplose nel cervello con una tale violenza da farle tremare così forte che la zuppiera scivolò dalle dita e si sfracellò a terra con un suono indignato.

Benché fosse corso fuori subito dopo di lui, Momo faticava a tenere dietro al fratello, una figura dai contorni indefiniti che si allontanava svelta nella notte. Girò dietro la collina, gli parve di averlo visto prendere il viottolo per il pozzo e accelerò il passo. Quando finalmente lo raggiunse, il cuore gli saltò un battito. A. stava seduto cavalcioni sul muretto del pozzo, la nuca illuminata dalla luna, il volto rivolto verso l’abisso. Sforzandosi di mantenere un’andatura naturale, né troppo lenta né troppo veloce, Momo lo chiamò, ma A. non si mosse, per cui Momo lo chiamò di nuovo, stavolta con una nota di urgenza nella voce. Ancora nessuna risposta.

Mentre si avvicinava, Momo ebbe paura che il fratello aspettasse l’ultimo secondo per buttarsi di sotto, che gli sgusciasse dalle dita proprio proprio mentre stava per afferrarlo, e percorse gli ultimi metri trattenendo il fiato. Solo quando lo raggiunse e gli ebbe appoggiato una mano sulla coscia Momo si sentì più tranquillo, e pronunciò una terza volta il suo nome.

«Un uomo, laggiù, mi aveva detto di non farlo. “Non c’è perdono per chi torna”, mi diceva» e la voce di A. sembrava venire proprio dall’altra parte del mare, tanto era lontana. «Gioia, invidia, disappunto, quello dipende da chi hai intorno, ma mai perdono. Mi avevano avvertito»

«Ma allora perché l’hai fatto? Perché sei tornato?» esplose Momo, lasciando libera quella domanda che teneva ingabbiata da giorni.

A. si voltò e, per la prima volta in una settimana, Momo lo vide sorridere. «Sai, sei il primo che me lo chiede. Tutti a parlare di me, ad appiccicarmi addosso le loro etichette, a chiamarmi vigliacco, e invece i veri vigliacchi sono loro, perché non hanno il coraggio di chiedermelo. Perché non lo vogliono sapere. Perché lo sanno, ma non vogliono sentirselo dire».

«Io voglio saperlo» disse Momo, senza sapere se fosse vero o meno, ma sentendosi coraggioso, più coraggioso dell’ex fidanzato della sorella, più coraggioso degli ex amici che lo picchiavano ogni giorno a scuola, il più coraggioso di tutto il paese. Forse persino di A.

«Qui tutti mi odiano, sai. Mi odiano perché ho distrutto i loro sogni, perché ho distrutto l’illusione che sognare sia facile, che partendo non si rinunci a nulla. Qui tutti mi odiano», ripeté A. «ma comunque è meglio qui che là. Tu non sai quanto può essere crudele la gente quando se ne frega di te. Quando sei solo un impiccio, o magari neanche quello. Qualcuno mi odiava anche là, ma andava bene, almeno era un qualcosa. Ma gli altri, quelli che mi passavano davanti senza nemmeno vedermi, camminando accanto o sopra i cadaveri di chi era con me…» e Momo, non capendo se il fratello parlava per metafore o sul serio, sentì l’angoscia arrampicarglisi su per le gambe come uno scarafaggio. «A un certo punto» proseguì A. «ti si rompe qualcosa dentro, e non sei più lo stesso. Io speravo di rimettere insieme i pezzi tornando, e invece ho rotto anche ciò che di me che era rimasto nei vostri cuori. Ormai non c’è più una versione di me che sia intera» disse con amarezza.

Rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi Momo allungò una mano fino a toccargli la guancia e fu felice quando l’altro vi si appoggiò contro, esausto. «Vieni», disse, sentendosi di nuovo coraggioso come prima, il più coraggioso di tutti. Era un bene che avesse chiuso con la scuola, pensò, perché adesso era lui l’uomo di casa, si sarebbe occupato della Baba e di Nani e avrebbe rimesso insieme i pezzi del fratellone.

Lo prese per mano e lo fece alzare. «Sei tornato, sei qui. Andrà tutto bene. Andiamo a casa», gli disse, e A. lo seguì docile, senza trovare il coraggio di dirgli che ormai per lui non esisteva più un posto del genere. Né lì, né da nessun’altra parte.

Il seguente racconto è stato pubblicato nell’antologia di racconti di Coye.Mag nell’aprile 2021

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