Quando ho iniziato a fare ricerche per questo post, avevo in mente di scrivere della sfida internazionale lanciata da Steve Bannon e l’aristocrazia degli affari americana all’Unione europea. Bannon, i fratelli Koch, l’élite repubblicana che aveva messo Trump lì dov’è — questo il progetto originale — erano finalmente passati all’attacco dell’unico, vero nemico che gli Stati Uniti hanno avuto negli ultimi vent’anni: il mercato comunitario e le regolamentazioni (soprattutto quella antitrust) europee.
L’annuncio di Bannon di passare almeno sei mesi l’anno in Europa a catechizzare e federare i movimenti sovranisti di destra in vista delle prossime elezioni europee mi sembrava un ottimo spunto. In effetti, Bannon stesso aveva dichiarato a Reuters che fra gli obiettivi del suo “Movimento” (Movement) rientravano “indebolire, e in ultima misura paralizzare, l’azione dell’Ue”.
In realtà, dopo poche ricerche ho capito che la situazione è più complessa di quanto immaginassi, e che il blocco sociale, economico e culturale a supporto delle destre populiste è molto meno solido di quanto sembri. Steve Bannon, cacciato dalla Casa Bianca per aver definito “antipatriottico” il Presidente Trump, ha visto sconfitto il suo candidato alle primarie repubblicane in Virginia ed è stato estromesso da Breitbart.

Ancora più interessante, però, è stato il deflagrante scontro del Presidente con i fratelli Koch, veri burattinai dell’estrema destra americana (dal Tea Party in poi). Rottura che, come spesso capita, è stata recitata da Trump a suon di Tweet in mondovisione. I motivi sono, stavolta, squisitamente economici: la difesa del libero commercio, essenziale per capitalisti di ventura come i Koch e fumo negli occhi per l’elettore “popolare” di Trump, che vede nella Cina, nel Messico, e in generale nelle aziende degli altri Paesi dei concorrenti da cui difendersi.
Il blocco sovranista è quindi composto da almeno due anime, e una non vuole necessariamente stare in compagnia dell’altra.
Il business è legato al commercio internazionale e all’apertura delle frontiere nonché a una politica estera aggressiva ma protagonista. In quest’ottica, razzismo e sessismo non sono valori, ma semplicemente dumping salariale — se neri e donne hanno meno diritti come persone, ne hanno anche come lavoratori e lavoratrici.
Per la piccola borghesia impoverita “enraged, excluded and disilluded”, invece, razzismo e sessismo sono darwinismo sociale: un modo per recuperare posti in classifica, da ultimi ad almeno penultimi.
Se guardiamo a questo blocco dal punto di vista dei valori, il razzismo che lo pervade sembra un collante forte quanto il nazionalismo degli anni ’20 e ’30.
In realtà, si tratta di due forme di razzismo completamente diverse. Un’anima vuole più diritti, più welfare e più servizi, e cerca di ottenerli (spoiler: fallirà) togliendone ad altri e altre; la seconda anima, invece, ha bisogno di libero commercio, poche tasse e lavoratori che, neri o bianchi che siano, acchiappino i topi senza rompere troppo i coglioni coi sindacati. La chiave di analisi che porta a vedere oltre la superficiale unità è l’economia — e la classe.
Una simile contraddizione sembra evidente anche in Italia. Da una parte i piccoli industriali del Nord, tutto sommati felici di poter sfruttare Fatima (e non sia mai che un Brahim qualsiasi pensi di sposare la loro figlia!), ma che hanno bisogno dell’Euro e dell’Europa per esportare, nonché di un sistema economico stabile perché altrimenti l’economia non va (e, infatti, pare stiano già pensando di scendere in piazza — non lo faranno, ma si parla a nuora perché suocera intenda). Dall’altra, una massa impoverita e incattivita, in cerca di un’affermazione contro un nemico più debole per sfogare malesseri economici, personali, identitari.
Questa saldatura è solo apparentemente e superficialmente garantita dall’individuazione di un nemico unico, i e le migranti (e, in seconda battuta, l’Islam, i comunisti, la Boldrini, l’Europa, ecc). Probabilmente, in un sistema democratico sano, le contraddizioni non tarderebbero a esplodere. L’unica alternativa di un partito sovranista che vuole rimanere a galla — e il Fascismo, alle prese con simili difficoltà a tenere insieme un fronte eterogeneo, affrontò un problema molto simile — sono la repressione e la guerra.
Non c’è, al momento, una soluzione unica per risolvere il problema. Non c’è perché i movimenti antirazzisti sono ancora ben lontani dall’averne individuato con chiarezza i contorni. Il punto fondamentale è però iniziare, abbandonando i valori come unico metro d’analisi, di critica e di azione politica e tornare a una lettura più economica. Le contraddizioni dei partiti sovranisti sono tutte lì, e spezzare il blocco sociale che li sostiene è possibile solo evidenziando le inconciliabili differenze in termini di interesse fra le diverse classi sociali che lo compongono.
Pubblicato la prima volta il 4 settembre 2018 su Medium
